Due splendidi dischi da due grandi donne…
di Fabio Antonelli
E’ da poco uscito (per la precisione è uscito ufficialmente il 3 aprile) il nuovo atteso disco di Ginevra di Marco dal titolo “Donna Ginevra” che ancora sono debitore nei confronti dello splendido disco di Rita Botto, pubblicato nel “lontano” 2007, dal titolo “Donna Rita”. Ho trovato da subito curiosa questa assonanza nei titoli dei due dischi e mi è così venuto il desiderio di accostare i due lavori in un unico articolo, non certo perché i due progetti presi singolarmente meritassero meno attenzione, ma perché penso che accostati evidenzino più di un aspetto comune. Innanzitutto hanno in comune il termine “donna” presente nel titolo del disco, che secondo me rivendica da subito l’importanza di essere donna in un contesto attuale, non solo musicale, in cui la figura femminile è spesso poco valorizzata ed è sfruttata a volte solo per la propria bellezza esteriore. Secondo aspetto comune è la voce splendida di entrambe, sia Rita Botto che Ginevra di Marco sono, infatti, dotate di voci potenti e cristalline capaci di muoversi su più registri denotando una capacità interpretativa davvero impressionante. Terzo aspetto è l’uso della lingua, che quasi mai è l’italiano, ma piuttosto il dialetto catanese per Rita Botto e di volta in volta i dialetti napoletano, pugliese, il francese o l’albanese per il viaggio tra i popoli affrontato da Ginevra Di Marco nel proprio disco. A questo punto però penso sia giunto il momento di dividere i due percorsi creativi per andare a focalizzarli meglio.
Donna Rita

Il disco si apre con “Canzonetta n. 2” e l’energia di tamburi che ricordano le terre dell’oltre mare, sorretti dal ritmo quasi ossessivo del basso, c’è ansia e struggimento per un amore travagliato “Spàmpina ‘u cielu calma lu mari / scinni lu ventu scinni a la riva / e forse senti a malincunia / pensando ‘a fogghia c’arrutulia / e forsi all’albiru c‘aspetta a tia”.
Con “Tirannia”, pezzo scritto da Rosa Balestrieri, si fa un tuffo nella tradizione, lo si intuisce dall’introduzione a cappella con il solo accompagnamento del marranzano, poi il tutto è ripreso in chiave moderna anche grazie all’utilizzo delle percussioni ed al suono sempre ibrido e sensuale del sax soprano.
Sempre alla storia del popolo siciliano, da sempre vittima di invasioni e sottrazioni di ricchezze, è dedicata la canzone “I pirati a Palermo”, il cui testo è del poeta Buttitta, la musica è suadente e calda grazie alle percussioni e alla tromba di Roy Paci a dare manforte al tutto e a rendere il brano più epico e solenne.
“Ritango” è un bellissimo tango disegnato dalla fisarmonica di Massimo Tagliata, in cui si parla di “corna” tema da sempre presente nel pensiero siculo, ma la novità è che a parlarne è una donna, da sempre più vittima che artefice.
Solare, piena di ritmo sudamericano, “Rosa” sembra uscita dalla colonna sonora di “Buena vista Social Club”, vede ancora la presenza della tromba di Roy Paci che incastrandosi con le percussioni dona gioia e spensieratezza a questo brano che parla di un uomo del popolo che finalmente si è deciso a prender moglie.
Ancora ballabile, ma su ritmi più lenti, è “Ti amai”, una raffinata beguine che sembra essere stata sottratta ad un’orchestra da balera degli anni ’50, bello qui il pianoforte di Teo Ciavarella ed i fiati di Roy Paci ed Antonio Marangolo, il testo è poetico per un amore che non è corrisposto dall’amata “Non ti priari, cori tradituri / ca ‘sta canzona non non è ppi tia / ca l’omini di pena tu fai muriri / tu, fimmina, nun si di puisia”.
“Sulu ppi tia” è forse la canzone più bella e toccante dell’intero disco, molto introspettiva e personale, vede impegnate al meglio la chitarra di Giancarlo Bianchetti ed il violoncello di Enrico Guerzoni, ci parla, con il cuore tra le mani, di un amore passato e lo fa con versi splendidi “Volu supra un munti / jettu li me pinsieri o’ ventu / ma l’ecu m’arrispunni / sempre amuri”.
“Amara terra mia”, canzone di Domenico Modugno, ci fa il dono di ascoltare Rita Botto cantare in italiano ed è un bel sentire, la canzone è intensa e amara “Tra gli uliveti è nata già la luna / un bimbo piange / allatta un seno magro / Addio, addio amore / io vado via / amara terra mia / amara e bella” ed intensa è anche l’interpretazione di Rita.
Ancora la chitarra sognante di Bianchetti ed il pianoforte di Ciavarella, uniti all’intensità di Rita, ci regalano un’altra perla “A curuna”, altro tuffo nella tradizione, rivisitata però con modernità e chiarezza d’idee.
Delicata e quasi sospesa nell’aria è “L’altalena” scritta appositamente da Antonio Marangolo (che ricordo per chi legge che è siculo e per la precisione di Acireale) e che vede lo stesso Marangolo suonare il sax soprano, in una canzone che vede immagini tipiche come questa “Li vecchi addimusciuti / aspittano ancora / lu mumentu ppi parrai / di ‘na femmina ca passa e si nni va” quasi fossero tratte da un quadro che ha per sfondo la città di Acireale.
Con “Mi votu e mi rivotu” si torna alla tradizione, scritta da un anonimo, che il dire comune attribuisce ad un carcerato, racconta di un uomo che non riesce a dormire pensando alla bellezza della donna amata, da cui si trova separato.
Chiude in maniera insolita “Haja o Que Houver”, un brano che appartiene al repertorio del famoso gruppo portoghese dei Madredeus, qui è eseguito prima in lingua portoghese e poi in accorato dialetto e ne esce una struggente canzone d’amore “Ah! quantu tempu / già scurdai / pirchì ristai / luntanu di tia / ogni momentu / è na cruci / torna into ventu / por favor”.
A corredo di questo nuovo disco di Rita Botto c’è in verità un altro disco, “Ethnea”, che in realtà è un insieme di pezzi, nati come demo, appartenenti al primo periodo compositivo di Rita, quello dettato da “santa incoscienza” come ama dire lei stessa, qui non ne parlo per esteso solo per motivi di spazio, però vi assicuro che è una delizia per le orecchie e per il cuore, oltre che essere il preludio ai successivi e validissimi lavori di Rita Botto.
“Donna Rita” è quindi un disco in cui la catenese Rita Botto mette tutta se stessa a partire dal titolo e dalla copertina che la ritrae in maniera fumettistica ed in cui è riscontrabile la sua caparbietà e la sua forza di grande donna della Sicilia di oggi, che non rinnega affatto la tradizione, ma che allo stesso tempo sa guardare avanti ed anche oltre confine, lo dimostra la splendida interpretazione del famoso brano dei Madredeus, qui fatto proprio anche grazie all’uso del dialetto, una donna sempre vicina al proprio popolo senza per questo divenire “popolana”.
Viva donna Rita!
Rita Botto
Donna Rita
Kind of Blue Records – Recording Arts 2007
Nei migliori negozi di dischi.
Crediti
Rita Botto: voce e cori
Felice Del Gaudio: basso
Massimo Tagliata: pianoforte, fisarmonica
Paolo Caruso: percussioni
Giancarlo Bianchetti: chitarra
Giuseppe Finocchiaro: pianoforte
Ruggero Rotolo: batteria
Roy Paci: tromba, flicorno
Teo Ciavarella: tastiera
Puccio Castrogiovanni: marranzano
Giovanni Arena: basso
Roberto Rossi: percussioni
Carlo Cattano: sax soprano
Enrico Guerzoni: violoncello
Produzione artistica Roy Tarant
Sito ufficiale di Rita Botto: www.ritabotto.com
Rita Botto su MySpace: www.myspace.com/ritabotto
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Donna Ginevra
Nella copertina Ginevra Di Marco è ritratta, come si usava nei primi del ‘900, inserita in un fondo cartonato come fosse in pieno mare a bordo di una nave che ha a prua una stella ad illuminarne il percorso e giusto di un viaggio musicale tra diverse culture, stili e lingue, tratta questa nuova uscita discografica a tre anni di distanza da “Stazioni Lunari prende terra a Puerto Libre”, riprendendo così il tema del viaggio ed ampliandolo ancor più, cercando di renderlo così universale.
Si parte dunque con “Terra mia”, canzone del miglior Pino Daniele, quello caratterizzato da un profondo legame con la propria terra, quella partenopea, qui grazie all’interpretazione di Ginevra ne esce un brano di rara intensità, intriso di dolente amore, con il lento incedere del pianoforte e delle percussioni, suggellati in più punti dall’intervento sapiente della chitarra classica, ovviamente la voce di Ginevra fa il resto. Grande!
Immediato cambio di ritmo e genere, si approda così in Macedonia, nel mondo Rom, per “Usti usti baba”, danza da matrimonio che ci fa sentire come improvvisamente catapultati nel rocambolesco set cinematografico di “Gatto nero, gatto bianco” di Emir Kusturica, percussioni ed arpeggi di chitarre ci trascinano in una danza apparentemente senza fine.
Con “M’aggia curà” si effettua un salto temporale e spaziale ancora verso Napoli, siamo nell’immediato dopoguerra ed i ritmi sono ancora alti, la canzone è da tipica macchietta partenopea con tanto di cori di fondo, è canzone che si fa teatro o forse viceversa, ma siamo ancora alla presenza di una grande prestazione, eseguita in piena disinvoltura.
Con “Il crack delle banche” si approda alla lingua italiana, trattasi di una canzone di fine ottocento sullo scandalo della Banca di Roma, ma chi lo direbbe, suonata in stile tarantella con tamburelli e sonagli, è sufficiente ritoccare i nomi dei personaggi citati: Mazzini, Garibaldi e Masaniello ed ecco che sembra parlare delle notizie che affollano i giornali dei nostri giorni “Noi siam tre celebri ladron / che per aver rubato ci han fatti senator / Mazzini, Garibaldi e Masaniello / erano tutti quanti malfattori / gli onesti sono loro i Cuciniello / Pelloux Giolitti Crispi e Lazzaroni”.
E’ giunto il momento della quiete, voce e chitarra classica, si passa a “La maza”, canzone del repertorio cubano scritta da Silvio Rodriguez, un testo che è una splendida riflessione sul significato di vivere. E’ decisamente un altro picco di questo disco di Ginevra Di Marco.
Si rimane in vetta anche con il seguente brano “Io sì” di Luigi Tenco qui trasformato in un sirtaki che non snatura il brano, ma anzi ha il pregio di calamitare maggiormente l’attenzione sui versi di Tenco “Io si ti avrei fatto arrossire dicendoti ti amo come lei non sa dire / Io sì da te avrei voluto quella tua voce calda che a lei fa paura“ qui cantati con maestria e magia da Ginevra Di Marco, commovente.
Ritmo cadenzato ed insistito per “Le figliole”, un canto popolare del cilento di fine 1500 pieno d’energia, forse episodio minore, soprattutto dopo le due precedenti perle assolute.
Piena d’energia è anche la ninnananna toscana “La malcontenta”, una sorta di filastrocca dal sapore amaro “Poi la mamma la mette i’grugno / e i’babbo gli dà un pugno / Ninna nanna la malcontenta / I’ babbo gode, la mamma stenta”, ma qui eseguita con tale ritmo e dispendio di energia da essere trasformata in un piacevolissimo divertissement.
Si riprende così il viaggio per approdare in terra di Bretagna, siamo nel 1842, per “Au bord de la fontaine”, c’è tutta la dolcezza del francese “Pour un bouquet de roses / La belle m’a dondaine / Que je lui refusai / La belle m’a lalala / Que je lui refusai / La belle m’a dondé” reso ancor più delizioso da un utilizzo calibrato delle rime, è comunque sempre sostenuto il ritmo grazie alle percussioni che tirano il gruppo.
Altro viaggio, altro paese, questa volta ci si dirige ad oriente, siamo in terra d’Albania e compaiono arabeggianti fiati ad intrecciarsi con gli arpeggi sinuosi degli strumenti a corda, a tessere una trama avvolgente di grande fascino, accentuato dalla sonorità misteriosa della lingua albanese. “Ali Pasha” è un brano dai colori eterei che profuma di spezie ed incensi.
Gli arpeggi di una splendida chitarra, aprono con gusto e raffinatezza l’ultimo brano “In maremma”, tratto dal repertorio popolare toscano, un vero e proprio canto in stile neorealista sul mondo contadino della maremma “Credessi di girà vai indo’ tu vai / ma i’ contadino e un lo farei più mai / Tanto in Francia che ‘Merica e Inghilterra / la peggio vita glie’ a lavorà la terra / I’ sole fa gode’ e capitalisti / mentre fa tribolà e poeri cristi”, è cantato da Ginevra con voce e passione da brividi. Si chiude al meglio.
“Donna Ginevra” è lo splendido risultato di questo nuovo progetto di Ginevra Di Marco che non ferma il suo viaggio musicale intrapreso con i lavori precedenti, accompagnata qui dai fidi compagni Francesco Magnelli al pianoforte, magnellophoni e cori, Andrea Salvadori chitarra classica, tzouras, wood guitar e cori e Marzio Del Testa alla batteria, che con lei hanno condiviso questo percorso, ha saputo creare un nuovo disco che coniuga al meglio il legame alle tradizioni della canzone popolare con il proprio personalissimo percorso interpretativo, capace di trasformare la materia prima a propria disposizione generando risultati, in alcuni casi davvero stupefacenti, senza mai perdere comunque di vista la meta prefissata.
Si può ben dire che ormai donna Ginevra sa solcare i mari della musica anche senza bussola, quindi buon viaggio Ginevra e che il tuo viaggio non termini mai come un moderno Ulisse.
Crediti
Ginevra Di Marco: voce
Francesco Magnelli: pianoforte, magnellophoni e cori
Andrea Salvadori: chitarra classica, tzouras, wood guitar e cori
Marzio Del Testa: batteria
Sito ufficiale di Ginevra Di Marco: www.ginevradimarco.com