mercoledì 25 novembre 2009

Recensione CD "L'insulto delle parole" di Susanna Parigi

Susanna Parigi
L’insulto delle parole

L’insulto delle parole: un abuso dei nostri tempi!
di Fabio Antonelli

“L’insulto delle parole” è un disco ambizioso, estremamente ricercato, che vola alto e che lascia il segno, non solo nella carriera artistica della musicista fiorentina Susanna Parigi, ma nell’intero panorama musicale italiano, lo dico subito a scanso d’equivoci prima di dilungarmi su intenzioni e contenuti del disco.
A proposito di intenzioni, vorrei subito lasciare la parola a Susanna Parigi che nel comunicato stampa a corredo del disco afferma:
«Percorrere la storia di una parola è come scoprire sotto le pietre il segreto delle sorgenti. La parola ha una potenza smisurata, a volte può fare la differenza tra vivere o morire. La parola può dare la sensazione di appartenere a qualcos’altro, una folla, un esercito, un’ideale. Può comandare, contrattare, illudere. La parola è sacra. Le parole ingannano. Qualcuno ha detto “Non credo che alcun sistema filosofico riuscirà mai a sopprimere la schiavitù: tutt’al più ne muterà il nome”. Ecco l’insulto di cui ho sentito esigenza di scrivere oggi, forte, violento, talmente evidente che è un dolore terribile accorgersi che dai più non è visto. Non l’utilizzo del potere della parola a propri fini, tema vecchio come il mondo, ma il cambiare nome alle cose o cambiare le cose mantenendone il nome. Cambiare nome alle cose. Creare frastuono, confusione, incapacità di reazione. Ci vuole molto tempo prima che ci rendiamo conto di una trasformazione. Nel frattempo siamo già stati divorati. Le parole possono essere l’inferno e “due modi ci sono per non soffrire” scriveva Calvino. “Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e sapere riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio”. Non per l'impossibile ci dovremmo affidare ai sogni, ma per sognare il possibile, tentare di ridare forza a una parola ormai assolutamente priva di significato per ricostruirla, per ritornare a “fare” la parola».
Forse a qualcuno sembrerà eccessivo l’aver riportato per intero il pensiero dell’artista ma mai come in questo caso è secondo me fondamentale cogliere le vere intenzioni che hanno mosso l’artista ad affrontare temi così importanti e con un taglio così profondo ma mai noioso o pesante, anzi ricco di spunti poetici, inoltre mai come in questo caso ritengo che intenzioni e risultati vengono a coincidere, ma qui siamo già ai contenuti.
Fermiamoci invece ancora alle suggestioni che hanno mosso Susanna Parigi ad intraprendere questo arduo percorso, ecco un’altra frase direi molto eloquente riportata sempre nel suddetto comunicato:
«Non datemi l’amore, non il denaro, non il lavoro, non la famiglia, non la giustizia… quello che voglio è la verità» (Henry David Thoreau dal libro “Vita nei boschi”)
Non è stata certo pensata e scritta di questi tempi ma penso che sia più attuale che mai, se solo ci mettiamo a guardare la televisione per qualche istante, indipendentemente dal canale su cui siamo sintonizzati, è facile imbattersi in qualche acceso dibattito in cui tutti sembrano aver ragione, dove la parola è abusata e violentata, dove i concetti anche più elementari sono trasformati e travisati e direi che se spostiamo il discorso alla parola scritta la situazione non cambia, il peggio, però è che si è talmente assuefatti da questo malvagio modo di ragionare o meglio di sragionare, che quasi quasi, non ce ne accorgiamo neppure più o forse, accettiamo subordinatamente, questa logica perversa.
Ancora due parole di elogio le voglio, però spendere sul libretto, di un’accuratezza indicibile, che riporta i testi delle canzoni sia in italiano sia in inglese ed è ricco di raffinate foto in bianco e nero che ritraggono Susanna in grande forma, bella a dir poco.
Segnalo poi la presenza a fine disco di un video clip in cui alcuni ospiti prestigiosi come Kaballà, Pino Arlacchi, Lella Costa, Cesare Fiumi, Leonardo Manera, Corrado Augias, Andrea Pinketts, Bruno Renzi hanno voluto esprimere il loro pensiero sul tema dell’insulto delle parole.
Queste dicevo, le premesse, ma come è svolto il tema o meglio come sono affrontati i tanti e complessi temi in gioco, da Susanna Parigi?
Beh, per l’occasione Susanna si avvale ancora una volta, nella stesura di quasi tutte le canzoni della collaborazione dell’artista catanese Kaballà, anche se per tre canzoni si muove in perfetta autonomia e si avvale in tutto il disco dell’Arkè String Quartet, un quartetto d’archi di grande efficacia e tecnica sopraffina, qui arrangiati da Valentino Corvino.
Non è da sottovalutare poi la presenza della stessa Parigi che si alterna con la medesima efficacia tra pianoforte, fisarmonica e clavicembalo.
Il risultato che ne esce è strabiliante perché il disco, pur profondamente pensato e ripensato, non appare mai freddo, anzi sa coinvolgere l’ascoltatore, con sprazzi di pura poesia a tratti davvero toccanti.
Susanna Parigi nel primo brano “L’insulto delle parole”, già uno dei vertici del disco, affronta il tema dell’amore indomito, vissuto a tutti costi, capace di soffrire e non posarsi mai “Non si stanca questo cuore, / continuerà la corsa / e dolendo mi segue, / non vede, non sente il rumore / né l’insulto delle parole”.

Nella successiva canzone “Non chiedermi parole d’amore” c’è il tema dell’amore che manca, di un rapporto in cui c’è solo il sesso e l’accorato canto di Susanna si chiude su questi versi “Ma il sesso è finzione o forse il più alto grado di sincerità? / Nessuno sa / perché siamo soltanto metà, / nessuno sa / o solo Dio?” e la parola Dio è quasi solo sussurrata, quasi con timore.

Nel brano “Fa niente (una vita perfetta)” dalla cadenza sincopata, è affrontato invece il tema del dolore, della disperazione che può portare nei suoi estremi anche alla morte, è uno splendido ed intenso brano interamente scritto da Susanna, ispirato a “Il suicidio” di E.Millay ed è cantato con vivo sentimento e forte pathos, si chiude tragicamente così, con questi ormai distaccati versi “Da sola io venni, / da sola riparto, / così dissi alla vita / e smisi / senza rimpianto”.

Con “L’attenzione” si torna al tema dell’amore, un amore fatto di dedizione, di fedeltà infinita, di indicibile abnegazione fino ad invitare l’amato a “rinunciare col silenzio / all’ultima delle parole / e che sarai un bambino / e piangerai su lei / come un fedele prega abbandonando il cuore / in braccio a Dio”, siamo alla sublimazione dell’amore che è fede ed abbandono.

“La fiorista” è canzone il cui testo è tratto liberamente dagli scritti di Simone e Rillar Dei Fiori, vi sono accostate parole come “respiro, cammino, parlo, osservo, ascolto, penso, prego, arrabbio, amo” che racchiudono in se il senso di un’intera esistenza, vi è ancora il senso del dolore che perché vissuto è capace di dare nuova forza “Ora sono forte. / Sono invasa dai sensi del mondo, / ho provato il dolore del mondo, / questo è il mio privilegio. / Ho già perso, ho già dato / E non mi aspetto un ritorno”.

In “Il raro movimento” Susanna Parigi affronta con grande profondità di pensiero il tema dell’amore che sa cambiare l’individuo, che sa avvolgerlo ma anche travolgerlo perché “L’amore quando t’incontra / ti altera la vita / dimenticata, / congelata, sopravvissuta” e perché “Tutte le cose della vita / sono incatenate, / innamorate / e insieme tradite”, certo siamo ben lontani dall’abuso che quotidianamente è fatto della parola amore.
Un altro punto alto del disco è senza dubbio “C’è bisogno di tempo” una magnifica riflessione di Susanna sul concetto del tempo, un bene prezioso che non siamo più in grado di cercare ed apprezzare, di utilizzare senza cercare inutili scorciatoie, perché dice nella canzone “Ho bisogno di tempo / per rifiutare, per fare tutto l’amore che serve, / per convincere il dolore, / per pregare, / per sapere che cosa dare, / cosa non voglio dire” e “E’ ora di essere meno elegante, / meno benparlante, / meno consonante, / meno deodorante, rassicurante, / meno tollerante / per massacrare l’ipnotico insulto / costante delle parole”, ecco così tornare il tema della prima canzone che è poi il collante dell’intero lavoro.

Ecco poi “Una basta”, un’altra grande canzone sul tema della morte, anche intesa come morte della parola, con un recitativo liberamente tratto da “Apostrofe all’uomo” di E.Millay in cui troviamo ancora passaggi come questi “Impossibile la parola, / in effetti è quasi nuda....”, “Siamo immersi nell’assenza, / prigionieri di un’altra lingua...”, “insulta con le tue parole di menzogna” per finire con questa amarissima conclusione “produci, spingi, usurpa, espanditi, annientati, muori uomo sapiens”.

Il tutto si chiude con “L’applauso (la parola che uccide)”, i tempi cambiano come canta Susanna “Da forche e dannati, / gladiatori e polvere, / ai grandi cori / temibili /di stadi politici. / Da streghe sul rogo, / tra indulgenze e santità, / a passerelle anoressiche / e mamme euforiche” e “Da gobbi e giullari, / tra miseria e nobiltà, / ai ciarlatani mediatici / tra servi e complici. / Da nani e castrati, / clandestine umanità / ai nuovi maghi dell’anima / tra volto e maschera”, ma una cosa non è cambiata, ogni spettacolo ogni forma di potere ha bisogno del consenso di chi assiste ed allora molto ironicamente eccola cantare “Miei signori / adesso comincia / il divertimento / Miei signori / e questo è il mio applauso per voi adesso... per voi adesso”.

Anch’io non posso che unirmi agli applausi di Susanna Parigi ma fatti senza alcuna ironia a questo magnifico lavoro di un’artista certamente sofisticata, ma di grande spessore, con una voce ed un modo di cantare raffinato e del tutto personale che non può lasciare indifferenti.
Il mio augurio è che non sia solo il sottoscritto ad accorgersi del suo talento, ma che possa finalmente affermarsi come merita.
P.s. Ho volutamente tralasciato di citare la splendida cover “La canzone dei vecchi amanti” solo perché è l’unica canzone non opera della cantautrice fiorentina e non certo perché non valida, anzi è perfettamente inserita nel contesto dell’intero progetto che ha come caratteristica peculiare una forte coesione di stile.

















Susanna Parigi
L’insulto delle parole

Promo Music Records - 2009

Nei migliori negozi di dischi.

Tracklist
01 L'insulto delle parole
02 Non chiedermi parole d'amore
03 Fa niente (una vita perfetta)
04 L'attenzione
05 La fiorista
06 Il raro movimento
07 C'è bisogno di tempo
08 La canzone dei vecchi amanti
09 Una basta
10 L'applauso (la parola che uccide)
11 Clip video: L'insulto delle parole

Crediti:
Susanna Parigi: voce, fisarmonica, pianoforte e clavicembalo

Arkè String Quartet
Carlo Cantini: violino
Valentino Corvino: violino
Sandro Di Paolo: viola
Stefano Dall'Ora: contrabbasso

Ivan Ciccarelli: percussioni
Matteo Giudici: chitarre
Alice Bisanti: viola
Aurora Bisanti: violino
Yuriko Mikami: violoncello

Produttore esecutivo Marcello Corvino

Produzione artistica Susanna Parigi e Stefano Barzan

Registrato, mixato e masterizzato presso lo studio Barzan di Milano da Stefano Barzan e Sebastian Castro (archi)

Testi e musiche di Susanna Parigi e Kaballà tranne: “Fa niente”, "C'è bisogno di tempo" e "Una basta" testo e musica di Susanna Parigi, “La canzone dei vecchi amanti" di Jacques Brel, Jouannest, Sergio Bardotti e Duilio Del Prete

Fotografie di Max Chianese

Sito ufficiale di Susanna Parigi: www.susannaparigi.it
Susanna Parigi su MySpace: www.myspace.com/susannaparigi

Voto: 9/10

domenica 22 novembre 2009

DCAVE records: NUOVA ETICHETTA CON PASSIONE ED OSSESSIONE!


Presentata al MEI di Faenza il 28 e 29 Novembre nasce una nuova label capitanata da Daniele Grasso. Il suo ambiente è quello del The Cave, lo studio catanese dove han preso forma i più importanti progetti discografici di spessore dell’ultimo decennio! SISTA la prima produzione…

Una nuova etichetta? A chi può mai servire una nuova etichetta discografica di questi tempi, e cosa può aver mai di nuovo da offrire? Eppure qualcosa ce l’ha. Qualcosa di nuovo e antico insieme. Qualcosa che ha a che fare con il solo motivo che rende la musica l’unica strada possibile: LA PASSIONE! Nient’altro che la Passione. Che dico, non Passione ma una vera e propria Ossessione per la diffusione della cultura della musica registrata, delle idee che grazie a quest’arte si diffondono per il mondo.

Dcave: Il suo nome parla di un luogo, di una persona e di un idea.

The Cave: La Cava, il luogo che negli ultimi dieci anni ha dato corpo e suono a decine di progetti unici nel panorama italiano e ospitato decine di artisti che li hanno trovato terreno fertile per le loro idee. Diego Mancino, Cesare Basile, Afterhours, Greg Dulli, JohnParish, John Bonnar, JD Foster,Hugo Race, Jolaurlo, Alibia, Waines sono solo alcuni dei nomi passati da li.

Daniele Grasso: musicista produttore sound engineer, la persona dietro i suoni i rumori le musiche alla Cava prodotti. Uno con niente di più che un “fottuto suono in testa”.

L’idea: scordarsi, al momento di iniziare un nuovo progetto di tutte le professionalità acquisite negli anni e farsi guidare dalle emozioni, come nelle realizzazioni musicali vere dovrebbe sempre accadere. Non compiacere nessuno, se non chi la musica la fa davvero e chi vuole viverla, ascoltarla. Esportare quest’idea insieme ai propri dischi al proprio suono ovunque, “no tricks no frills”!

Come lo faremo: con lo scouting, che nessuno fa più. Responsabilizzando i musicisti e rendendoli parte attiva del lavoro. Con dei piani da “guerrilla marketing”. Con l’aiuto di tutti quegli addetti ai lavori che si innamoreranno del ns di lavoro e perché stanchi di tutto ciò che è”normale”.

Con chi non lo faremo: con X Factor, con Amici, con la becera televisione, con music control, e le radio che passano solo quei pezzi li, con i finti musicisti, con chi crede che la musica sia un gratta e vinci e pensa “se non faccio successo subito lascio perdere”, con chi cerca mentre scrive quello che “può andare” e non quello che sente di dire.

Ah la “Mission”: bisogna averla per forza vero?
Produrre e diffondere più musica possibile!!!
Quale? Una che rischi, che sia sincera, non per forza omologata ma che funzioni, che faccia pensare, che non faccia pensare, che faccia piangere e ridere

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SISTA ‘S project

Forma canzone e rock&roll scarnificato, all’osso. Soltanto Basso Batteria e Voce.
Pulsione ritmica e suadenza melodica. L’armonia concettuale… un vago ricordo.
Due donne ed un uomo … pulsioni fra uomini e donne, donne e donne.


I brani dell’EP

Guardami: Il primo singolo. L’immagine da curare, l’immagine come ragione di vita, per molta gente l’unica ragione. Il richiamo ad essere se stessi…

Sola nel buio: Le cose che cerchiamo nella notte, gli incubi che ci inseguono quando siamo soli nel buio

Cose mai viste: una pulsione irrefrenabile ai limiti dell'incredibile... Cose mai viste. Una spinta d'amore. Una donna e donna.

My generation: Una cover, si, ma una cover che incarna da più di quarant'anni l'affermazione di appartenere ad una generazione. Un simbolo più che un brano. La versione di SISTA è veloce ed ironica. Si è scelto questo perché ha un piede e più nell'immaginario musicale collettivo. Ha una relazione forte con quel periodo d'oro (non solo per la musica ma anche per l'immagine, la moda) che va dalla fine dei sessanta ai primi settanta.

SISTA nasce a Catania e dove se no? Una delle città più vibranti del nostro paese. Ed in particolare al "THE CAVE" studio. Tana di molti musicisti italiani e non. Fucina di alcuni episodi musicali unici nel nostro panorama.

Basso/ Batteria/ Voce sono l’anima in studio così come del live. Tre strumenti, Tre personalità.
In studio la produzione di Daniele Grasso, l’aiuto di Diego Mancino ai synth e ai cori, un po’ di suoni e rumori.

SISTA è un progetto di Giusy (J.P.) Passalacqua, giovane talento catanese (musicista, compositrice) a cui presta voce suadente e movenze Elisa Buchignani, e di Daniele Grasso ( musicista, produttore, sound engineer, uomo dietro il suono e la musica di alcuni fra i più interessanti progetti musicali degli ultimi anni. Fra gli altri: Diego Mancino, Cesare Basile, Afterhours,John Parish, Greg Dully,John Bonnare,HugoRace, Waines )

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martedì 17 novembre 2009

RoSyByNdY - FAUSTO ROSSI - FLAVIO GIURATO "DOGMA" … un singolo che è già culto!


Uno spaccato della società di oggi, una riflessione acerba e profonda,
una tecno-melodia, note stridenti,
rimbombate stalattiti di un malessere diffuso,
un groove battente…
…e tre artisti assolutamente fuori schema!!!


FAUSTO ROSSI (FAUST’O): dopo circa 11 anni dal suo ultimo lavoro discografico, Fausto Rossi (Faust’o) ritorna di fronte a un pubblico di reduci del delirio wave 80, rimasti imbrigliati in maglie generazionali nutrite dello stesso tormento, e neofiti in cerca di cruda e coraggiosa profondità.
"Becoming Visible" è un lavoro molto intimo, essenziale e scarno, composto da 8 nuove ballate, con testi inediti, 8 piccole songs d'autore composte e cantate completamente in inglese. Un modo di ritrovarsi con se stesso, dopo i bagliori e i fasti illusori di un’epoca di eccessi. Un disco che ripaga tutti di una lunga assenza, quella di Fausto Rossi. Un disco che sancisce la sua nuova presenza, lungamente attesa dai suoi molti estimatori, che avviene dopo oltre 10 anni da "Exit".

ROSYBYNDY: guru dell’elettronica, melodista insoddifatto, frustrato occupatore occulto di hit parade in incognito? Oggi, nel 2014, Rosybyndy, è la memoria storica di un’insofferenza diffusa, di una banalità continua che diventano, loro malgrado, eroismo e ribellione. È l’immagine agli “antenati” di una schizofrenia bastarda che lascia tracce di necrosi culturale che diventano importantissime in una reiterazione di sintomi/simboli/eiaculazioni di un nuovo secolo già sfatto e morente. Rosybindy- (alias Luigi Piergiovanni è, allora, la cattiva coscienza di altrettanta cattiva politica culturale, il rifiutare d’impatto tutto il mondo lustro e famigerato dell’airplay concenzionale, della convenzionale canzone d’amore, della sbuldricata e reititiva canzone di protesta.

FLAVIO GIURATO: inizia la carriera come autore, scrivendo per altri artisti come Anna Melato (Madame Marilou, nel 1974). Firma un contratto con la Dischi Ricordi, che pubblica nel 1978 il suo primo LP, Per futili motivi, ma è il disco successivo, Il tuffatore (pubblicato per la CGD) quello che è giudicato il suo capolavoro e che, grazie anche alla trasmissione Mister Fantasy (condotta da Carlo Massarini) che trasmette nel corso delle puntate i video di alcune canzoni del disco, riscuote maggior successo. Non pubblica più dischi per quindici anni. Il manuale del cantautore, nel 2002, viene pubblicato senza molta pubblicità da Vitaminic, ma riattira l'attenzione dei vecchi fans, consentendo a Giurato di riprendere l'attività dal vivo e di pubblicare nel 2004 un disco dal vivo allegato ad un volume di racconti di alcuni grandi scrittori italiani ispirati alle canzoni più note del cantautore. Il disco del 2007 riprende nel titolo il disco uscito per Vitaminic e racchiude, oltre ad alcune reincisioni di brani tratti da quel disco (come L'ufficialino e la stessa title track) alcuni inediti come La tentazione, Giulia bianca e i dinosauri.


Fausto Rossi

RosyByndy

Falvio Giurato

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lunedì 9 novembre 2009

Esce “Non Parlerò d’Amore” il primo singolo di Leo Pari


Ecco il primo singolo estratto da “Lettera al Futuro”, il nuovo lavoro di Leo Pari che uscirà a fine novembre.



«Non Parlerò d’Amore l’ho scritto una mattina – racconta il cantautore romano - dopo essermi reso conto che il novanta per cento dei brani trasmessi alla radio parlano sempre e comunque di storie d’amore, in tutte le salse... il protagonista di questa canzone invece vuole ribellarsi, non vuole parlare d’amore e non vuole neppure sentirne parlare, per il semplice fatto che è rimasto fortemente scottato e deluso dall’amore stesso. E’ per certi versi un gioco dell’assurdo – spiega l’autore di musiche e testi dell’intero album – e sicuramente c’è una vena di sarcasmo nelle parole di questa canzone».
Dal punto di vista musicale Leo Pari ha scelto la via della sperimentazione, sviluppando un brano che parte con un classico «riffone di chitarra elettrica che ti fa fare le corna con la mano», per poi sfociare in un ritornello in tre quarti dalle sonorità “electro battistiane”. «E’ in effetti una caratteristica che accomuna tutti i brani di Lettera al Futuro – dichiara l’artista - la miscellanea di più generi all’interno di uno stesso brano: il rap old-school, che si insegue con il funk ed il rock pesante, senza escludere una forte componente cantautorale. Questa è la mia lettera al futuro, come se volessi lasciare ai posteri un album su cui esprimere un’ardua sentenza. Credo che questo sia un album di passaggio, soltanto un solco sulla strada che mi sta portando verso un luogo sconosciuto, ma che inizio ad intravedere da lontano». Così anche il videoclip che accompagnerà l’uscita del singolo Non Parlerò d’Amore si colloca idealmente in quella linea che separa tradizione ed innovazione: la scelta di videocamere con ottiche anni ’80 per regalare un effetto vintage unite al sapore esotico della location, una Kiev dagli antichi rimandi ma proiettata verso il futuro. La regia, curata da Saku (Lacuna Coil, Piero Pelù, Linea 77, The Niro, Casino Royale), ha saputo evidenziare la forza ironica di un pezzo che si candida a diventare un tormentone del prossimo inverno.
Il suo stile musicale è non si colloca in un genere ben preciso, ma è differente a seconda della canzone, mescolando ritmi e sintetizzando generi in modo sempre vario. Il primo disco di Leo Pari, intitolato semplicemente LP, è uscito nell’ ottobre 2006. Prima dell'uscita del disco, Leo Pari inviò una delle sue tracce a Beppe Grillo sul suo blog. La canzone, intitolata Ho un Grillo per la Testa e scritta con la collaborazione di Pier Cortese, parla della lotta del comico genovese contro le ingiustizie della classe politica italiana. Lo staff di Beppe Grillo, ricevuta la canzone, la apprezzò moltissimo, e decise di utilizzarla come sigla finale delle rimanenti serate dello spettacolo 2006, Incantesimi. Il suo Mp3 è stato scaricato dal sito del comico da migliaia di persone e i video messi su Youtube iniziano proprio con questo. La collaborazione è proseguita in occasione della manifestazione in programma per l'8 settembre 2007, chiamata V-Day, per la quale è stata scritta la canzone V-Day, Ci sei o non ci sei, diventata immediatamente inno della manifestazione, e per il quale è stato addirittura creato un video on-line. In concomitanza con il secondo V-Day del 25 aprile 2008, Leo Pari, insieme a Piotta e Radici Nel Cemento, incide un aggiornamento del precedente inno: V-Day 2.0.


Leo Pari

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giovedì 5 novembre 2009

INTERVISTA A CARLO FAVA

Di Fabio Antonelli

Voglio esprimerti una mia considerazione che vuol essere al tempo stesso anche un po’ una provocazione: di questa edizione del Tenco 2009 so che molti critici si sono meravigliati dell’assenza dell’ultimo lavoro di Paolo Conte, dalla rosa dei cinque dischi finalisti e che ha poi decretato la vittoria, meritatissima secondo me, di Max Manfredi con “Luna Persa”, io, però piuttosto ho trovato assurda l’assenza del tuo “Neve” perché ritengo sia uno splendido disco per certi versi ancora meglio del precedente “L’uomo flessibile”, che mi dici in merito?

È una domanda che devi rivolgere ad Enrico De Angelis, direttore artistico del Tenco.

Restiamo a “Neve” perché hai dato questo titolo al tuo ultimo lavoro? In tutto il disco non si trova mai questa parola e non trovo riferimenti diretti alla neve, è forse legato all’atmosfera fredda ed invernale che fuoriesce tra le righe delle canzoni, in un certo senso una sorta di gelo dell’anima?

La neve è il sogno, il riposo, l’incanto. Ho letto ieri un articolo in cui si narra che l’attuale sindaco di Mosca ha intenzione di utilizzare velivoli ”fendi nuvole” per impedire alla neve di cadere su Mosca. Un’operazione che ha chiamato “Dissipazione” (della neve, appunto). Oltraggioso e grottesco, oltre che demenziale.

Al di là del diverso linguaggio musicale adottato, con “Neve” sei ricorso allo strumento dei lieder, trovo ci sia un legame abbastanza stretto tra questa tua ultima fatica e “Personaggi criminali”, se là il viaggio nell’animo umano portava a situazioni da psichiatria criminale qui comunque si avvertono disagi esistenziali, solitudini incolmabili, futuri senza luce, dico male?

Mi sembra una lettura un po’ pessimistica di “Neve”. È un lavoro sicuramente molto intimista, disponibile a varie interpretazioni. Riascoltandolo mi sembra di trovarmi di fronte ad otto brevi racconti che finiscono tutti con un punto di domanda. Forse per questo motivo ti ricorda “Personaggi criminali”. Dentro la calma apparente del paesaggio di ”Neve” si muove qualcosa e l’immagine più appropriata, forse, è quella dello svenimento, dell’addormentamento. La fase che precede il sonno è per me sempre un momento di comprensione, di rivelazione e di ricognizione. Mi sto interrogando su questo tema perché le canzoni mi sembra nascano da questo tipo di stato, di condizione.

A proposito di linguaggio musicale com’è nato questo sodalizio musicale con il pianista Cesare Picco e il violista Danilo Rossi, questa svolta radicale verso una nuova forma di canzone tanto simile ai lieder classici più moderni, è stata una scelta dettata dai temi del disco o la volontà di intraprendere un nuovo percorso artistico?

Cesare è uno dei miei pianisti preferiti in assoluto e non lo dico perché è un amico. Avevo in testa da anni di combinare qualcosa con lui. Era arrivato il momento giusto. Inoltre il mondo musicale di Cesare è ricchissimo e non si limita allo strumento, l’ho lasciato completamente libero di adattare i miei brani al suo modo particolarissimo di suonare e di pensare la musica. Danilo è semplicemente il miglior violista del mondo. Fortunatamente, ogni tanto, gli viene voglia di fare incursioni musicali fuori dall’ambito strettamente classico. La cosa più seducente è vederlo, vederlo suonare, intendo. L’espressività del suo gesto e del suo corpo è un tutt’uno con la musica, davvero unico.

Addentriamoci tra le tracce del disco, partendo dalla canzone introduttiva “Lezioni di tenebre” dove affronti quella fase di abbandono verso l’inconscio che precede il sonno vero e proprio, l’attimo che traghetta l’io dal piano del reale al mondo parallelo dei sogni, qui questo passaggio avviene tramite le pagine di un romanzo, ma quanto la letteratura conta nel tuo universo musicale, al di là che so che nella vita sei libraio?

Sono stato libraio tanti anni fa. Anni gloriosi e divertenti. Lì, in effetti, ho imparato ad amare definitivamente i libri.

“La pratica del salasso”è forse la canzone più inquietante, quella che in maggior modo mi ha richiamato alla mente il tuo disco “Personaggi criminali”, passaggi come “C’è un assassino nascosto nel bosco / brilla la luna lo riconosco / brilla la vita brilla la lama / notte di lucciole per chi si ama / brucia il coltello brucia la gola / donna che fugge col sangue che cola” lasciano presagire un dramma consumato tra chi si conosce bene o sbaglio.

È una favola noir. È una canzone che potrebbe stare in un’operina stile Brecht/Weill. È un brano che risente di qualche lettura lombrosiana.

Ciò che mi resta più oscuro a livello di testi in questo disco è, però “Il merlo”, canzone musicalmente ineccepibile, un po’ Schubertiana direi, per quel suo carattere ondivago e spumeggiante, mi sembra alludere ad un distacco, ma è molto ermetica, forse sono io poco sensibile a questo genere di poesia mi chiarisci se c’è da chiarire?

Immagina una canzoncina da carillion. Mi piaceva quest’idea di un merlo che imita la suoneria di un cellulare. La tecnologia che s’intrufola subdolamente nei gesti più impensati, anche degli animali.

C’è invece un brano che, secondo me, scarta un po’ verso il tuo fortunato “L’uomo flessibile”, mi riferisco a “Naso che cola”, a me ricorda per sonorità “La palude”, anche se parla di tutt'altro, anche se nuovamente è difficile dire in poche parole di cosa effettivamente parli perché procede per accostamenti o meglio per contrasti “Il tavolo è pulito, il tavolo è sporco”, “un angelo mi picchia, un diavolo mi consola”, “mi sento male mi sento pulita”, “gioco di prestigio… col coniglio che muore” è come vi fosse in atto nella quotidianità del vivere l’eterna lotta tra bene e male, ma cosa è bene e cosa è male?

Il naso che cola e la lingua che batte sono due segnali inequivocabili di una forte dipendenza dalla cocaina. È di questo che la canzone parla. Hai ragione: ci sono affinità di testo e musicali con la palude. Un certo ”ermetismo” delle parole e l’utilizzo delle note basse del pianoforte; l’atmosfera è onirica anche se il tema della canzone è molto preciso.

Anche in “Scrivo” si ritrova questo gioco di contrasti “Scrivo scrivo scrivo / che la vita è imperfetta per più di un motivo / Scrivo scrivo scrivo / che la vita è bellissima per più di un motivo”, ma si trova anche la difficoltà dello scrivere “Scrivo adagio, scrivo con disagio / in continua attesa di una luce accesa / scrivo delle idee, qualche informazione, / uso un po’ di arte e un po’ di imitazione”, non so quanto ci sia di autobiografico in questo testo, però credo che in quel che scrivi o meglio scrivete (scrivi con Gianluca Martinelli da sempre), ci sia arte e ci sia soprattutto la difficoltà del mettersi a nudo attraverso la scrittura o sbaglio?

È un’esperienza strana e inusuale scrivere a quattro mani. La magia scatta quando abbiamo entrambi qualcosa da dire. È per questo che ci siamo interrogati sul lavoro quotidiano dello scrivere. La canzone, in effetti, parla anche di noi ”Scrivo a quattro mani, scrivo solo in coppia, scrivo e tutto, tutto si raddoppia”…

Rileggendo queste mie domande non vorrei aver dato l’idea di un disco mesto e pieno di dolore, c’è sì sofferenza, ma ci sono anche momenti d’amore come con “Baby, “Terrazza Belvedere” ed “Ultima”, ultima solo come titolo e come disposizione nella track list perché trovo sia una canzone stupenda che mette in mostra la bellezza dell’essere femminile cui, però l’uomo non sa ancora rispondere con la sufficiente maturità, così mi par di cogliere in “Se vedete quella donna, vi prego è roba mia”. Che mi dici in proposito?

"Ultima" è una canzone che mi piace perché parla di come si può illuminare il mondo anche stando un po’ in disparte.

“Neve” sarà un tour teatrale? Ma soprattutto rappresenta il tuo nuovo modo di essere o deve essere considerato semplicemente una tappa del tuo percorso stilistico? Giusto per chiudere, cosa ti riservano i prossimi mesi artisticamente parlando?

Le date sono in via di definizione. Ma i concerti,per ora, saranno rigorosamente col trio del disco. Se la mia oblomoviana pigrizia me lo consentirà mi attiverò presto in una riesumazione del mio sito ufficiale. Lì si potranno vedere presto le date.


Carlo Fava

lunedì 2 novembre 2009

Tony Turco: concerto al Fictio Jazz Club di Chieti


Torna a Chieti il cantautore aquilano Tony Turco per presentare il suo ultimo lavoro discografico:

"Canzoni da Sfogliare".

In apertura la presentazione

de “La moleskine nera” il libro vincitore del primo premio

“Giovani Scrittori” della Fondazione Pescarabruzzo

Tony Turco, cantautore originario di San Demetrio ne’ Vestini (AQ), torna a Chieti il 7 novembre per regale ancora emozioni e sogni. Il poliedrico e polistrumentista artista abruzzese intratterrà con la sua musica country folk i fan e gli avventori del pub Fictio di Chieti.

Tony Turco, apprezzato cantautore abruzzese, ha all’attivo 4 dischi, di cui l’ultimo pubblicato appena l’anno scorso: “Canzoni da sfogliare”. I suoi lavori prodotti in precedenza sono - in ordine di tempo: “Senza Fretta” (2002); “Acqua & fuoco” (2003), dove raccoglie, in amicizia, i consigli di Goran Kuzminac; penultimo lavoro, invece, “Orchi Dee” (2007).

Fra un disco e l’altro, inoltre, ha il tempo ed il piacere di incidere con i “Dixie dreamers”, ben due album: il primo del 2004, che raccoglie cover di artisti quali James Taylor, Bob Dylan, Peter, Paul and Mary, solo per citarne alcuni ed il secondo album del 2005 “Canzoni per un Natale”.

Il lavoro di Tony Turco non si ferma al cantautorato, ma spazia nel settore della produzione musicale. Fonda, infatti, nel 2000, l’etichetta musicale indipendente Liszt Art: “L’intento è quello di sviluppare la musica d’autore, con particolare attenzione alla canzone popolare e al folk-rock”. L’amore per questo genere porta Tony allo studio di strumenti musicali come il banjo, il mandolino e l’armonica a bocca.

Ad aprire la serata si terrà la presentazione del libro di Alessio Pelusi, “La moleskine nera”, vincitore del premio annuale “Giovani Scrittori” indetto dalla Fondazione Pescarabruzzo e pubblicato dalla casa editrice Tracce.

Sabato 7 Novembre ore 22.00

Fictio Jazz Club: Via Armellini, 1 a Chieti

Info e prenotazioni tel. +39.340.77.21.367

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