giovedì 18 giugno 2009

ANTONIO MARINO - Parti di me


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a cura di Alex Simone

Dai consensi della prima edizione di XFactor, ad un anno di umori cupi, ma prolifici sotto il profilo artistico e genitori di cinque ispiratissimi inediti inclusi nell’EP Parti di me, un ritorno giovane molto importante e atteso non solo dai fan più accaniti ma anche da parte di un pubblico attento e sensibile ai grandi temperamenti. Così, dopo Le mie parole, il primo singolo uscito nell’ottobre scorso, il ventisettenne partenopeo e romano d’adozione Antonio Marino, grazie all’ausilio non ultimo umano, del produttore Filippo Broglia, si ripone all’attenzione dei mass media, con un EP che precede un album dal titolo Tutto il resto di me: un titolo perfettamente attinente a questo suo primo lavoro, in cui il pop e il soul si sposano splendidamente con la sua voce calda e impostata.
Grazie a una spiccata capacità di cogliere gli stati d’animo altrui, Antonio, in Parti di me, ha incluso una sua bellissima canzone ispiratagli da un episodio della sua vita realmente accaduto: l’incontro con una ragazza delusa da una love story, lasciatasi andare al pianto in un angolino della metro milanese: ” l’amore da solo non basta mai”, parole testuali dell’anonima protagonista della canzone che così risponde ad Antonio, accorso in suo aiuto e incuriosito da quel pianto tanto sofferto: “Quanta ragione che hai”, così replica il cantautore alle sue parole in La mia più bella abitudine. Altra traccia interessante dell’EP è “Lei”, che tradisce il grande amore di Antonio nei confronti di Giorgia, di cui si dichiara convinto sostenitore, definendola musa ispiratrice. E Giorgia, a sua volta, ha dichiarato pubblicamente di stimarlo moltissimo, ma anche Loredana Bertè e Laura Pausini sono sue ormai consolidate ammiratrici. Non poteva mancare un tributo a Giorgia in Di sole e d’azzurro (versione unplugged), e dulcis sin fundo, la hit estiva Mai più nessuno, dalle ritmiche pop intense e raffinate.
Antonio mi racconta dei suoi trascorsi lavorativi… tanta gavetta musicale nei piano bar cantando black, soul e gospel; dei suoi idoli musicali: Brian Mc Knight, Whitney Houston… delle esperienze teatrali in musical diretti e curati da grandi nomi come Franco Miseria e Claudio Mattone, di avere lavorato in una biblioteca in cui divorava caterve di libri consigliandone la lettura ai più giovani, di un altro sogno della sua vita: dare vita ad una libreria direttamente da lui gestita; delle sue letture: Neruda, ma anche il contemporaneo Christian Frascella di cui ha appena finito di leggere Mia sorella è una foca monaca e, di cui mi descrive nei minimi particolari tutti i passi più importanti della storia, quella di un ragazzo diciassettenne operaio in fabbrica, un po’ sognatore e molto sfortunato. Delle sue nuove letture: L’ombra del vento e Il gioco dell’angelo di Carlos Ruiz Zafón, enarratore e critico di colleghi e di libri.
Antonio è entusiasta della Spagna, che per molteplici aspetti considera dieci anni in avanti rispetto alla nostra bella Italia, auspicando di poterla conquistare attraverso la sua musica. In lui ha creduto tantissimo Simona Ventura, ancora accanita sua sostenitrice, colei che ha puntato tutto su Giusy Ferreri, vincendo alla grande ogni scommessa.
Il 28 luglio Antonio sarà in concerto ad Andria (Ba), dove è nato il suo fan club, prenderà inoltre parte ai Tour di Rtl e di altre importanti emittenti radiofoniche, preparandosi all’autunno con le canzoni del suo primo album e con la presentazione dal vivo dei suoi brani, alla Fnac e alla Feltrinelli.

lunedì 15 giugno 2009

Donna Rita e Donna Ginevra

Due splendidi dischi da due grandi donne…

di Fabio Antonelli

E’ da poco uscito (per la precisione è uscito ufficialmente il 3 aprile) il nuovo atteso disco di Ginevra di Marco dal titolo “Donna Ginevra” che ancora sono debitore nei confronti dello splendido disco di Rita Botto, pubblicato nel “lontano” 2007, dal titolo “Donna Rita”. Ho trovato da subito curiosa questa assonanza nei titoli dei due dischi e mi è così venuto il desiderio di accostare i due lavori in un unico articolo, non certo perché i due progetti presi singolarmente meritassero meno attenzione, ma perché penso che accostati evidenzino più di un aspetto comune. Innanzitutto hanno in comune il termine “donna” presente nel titolo del disco, che secondo me rivendica da subito l’importanza di essere donna in un contesto attuale, non solo musicale, in cui la figura femminile è spesso poco valorizzata ed è sfruttata a volte solo per la propria bellezza esteriore. Secondo aspetto comune è la voce splendida di entrambe, sia Rita Botto che Ginevra di Marco sono, infatti, dotate di voci potenti e cristalline capaci di muoversi su più registri denotando una capacità interpretativa davvero impressionante. Terzo aspetto è l’uso della lingua, che quasi mai è l’italiano, ma piuttosto il dialetto catanese per Rita Botto e di volta in volta i dialetti napoletano, pugliese, il francese o l’albanese per il viaggio tra i popoli affrontato da Ginevra Di Marco nel proprio disco. A questo punto però penso sia giunto il momento di dividere i due percorsi creativi per andare a focalizzarli meglio.


Donna Rita

Il disco si apre con “Canzonetta n. 2” e l’energia di tamburi che ricordano le terre dell’oltre mare, sorretti dal ritmo quasi ossessivo del basso, c’è ansia e struggimento per un amore travagliato “Spàmpina ‘u cielu calma lu mari / scinni lu ventu scinni a la riva / e forse senti a malincunia / pensando ‘a fogghia c’arrutulia / e forsi all’albiru c‘aspetta a tia”.

Con “Tirannia”, pezzo scritto da Rosa Balestrieri, si fa un tuffo nella tradizione, lo si intuisce dall’introduzione a cappella con il solo accompagnamento del marranzano, poi il tutto è ripreso in chiave moderna anche grazie all’utilizzo delle percussioni ed al suono sempre ibrido e sensuale del sax soprano.

Sempre alla storia del popolo siciliano, da sempre vittima di invasioni e sottrazioni di ricchezze, è dedicata la canzone “I pirati a Palermo”, il cui testo è del poeta Buttitta, la musica è suadente e calda grazie alle percussioni e alla tromba di Roy Paci a dare manforte al tutto e a rendere il brano più epico e solenne.

“Ritango” è un bellissimo tango disegnato dalla fisarmonica di Massimo Tagliata, in cui si parla di “corna” tema da sempre presente nel pensiero siculo, ma la novità è che a parlarne è una donna, da sempre più vittima che artefice.

Solare, piena di ritmo sudamericano, “Rosa” sembra uscita dalla colonna sonora di “Buena vista Social Club”, vede ancora la presenza della tromba di Roy Paci che incastrandosi con le percussioni dona gioia e spensieratezza a questo brano che parla di un uomo del popolo che finalmente si è deciso a prender moglie.

Ancora ballabile, ma su ritmi più lenti, è “Ti amai”, una raffinata beguine che sembra essere stata sottratta ad un’orchestra da balera degli anni ’50, bello qui il pianoforte di Teo Ciavarella ed i fiati di Roy Paci ed Antonio Marangolo, il testo è poetico per un amore che non è corrisposto dall’amata “Non ti priari, cori tradituri / ca ‘sta canzona non non è ppi tia / ca l’omini di pena tu fai muriri / tu, fimmina, nun si di puisia”.

“Sulu ppi tia” è forse la canzone più bella e toccante dell’intero disco, molto introspettiva e personale, vede impegnate al meglio la chitarra di Giancarlo Bianchetti ed il violoncello di Enrico Guerzoni, ci parla, con il cuore tra le mani, di un amore passato e lo fa con versi splendidi “Volu supra un munti / jettu li me pinsieri o’ ventu / ma l’ecu m’arrispunni / sempre amuri”.

“Amara terra mia”, canzone di Domenico Modugno, ci fa il dono di ascoltare Rita Botto cantare in italiano ed è un bel sentire, la canzone è intensa e amara “Tra gli uliveti è nata già la luna / un bimbo piange / allatta un seno magro / Addio, addio amore / io vado via / amara terra mia / amara e bella” ed intensa è anche l’interpretazione di Rita.

Ancora la chitarra sognante di Bianchetti ed il pianoforte di Ciavarella, uniti all’intensità di Rita, ci regalano un’altra perla “A curuna”, altro tuffo nella tradizione, rivisitata però con modernità e chiarezza d’idee.

Delicata e quasi sospesa nell’aria è “L’altalena” scritta appositamente da Antonio Marangolo (che ricordo per chi legge che è siculo e per la precisione di Acireale) e che vede lo stesso Marangolo suonare il sax soprano, in una canzone che vede immagini tipiche come questa “Li vecchi addimusciuti / aspittano ancora / lu mumentu ppi parrai / di ‘na femmina ca passa e si nni va” quasi fossero tratte da un quadro che ha per sfondo la città di Acireale.

Con “Mi votu e mi rivotu” si torna alla tradizione, scritta da un anonimo, che il dire comune attribuisce ad un carcerato, racconta di un uomo che non riesce a dormire pensando alla bellezza della donna amata, da cui si trova separato.

Chiude in maniera insolita “Haja o Que Houver”, un brano che appartiene al repertorio del famoso gruppo portoghese dei Madredeus, qui è eseguito prima in lingua portoghese e poi in accorato dialetto e ne esce una struggente canzone d’amore “Ah! quantu tempu / già scurdai / pirchì ristai / luntanu di tia / ogni momentu / è na cruci / torna into ventu / por favor”.

A corredo di questo nuovo disco di Rita Botto c’è in verità un altro disco, “Ethnea”, che in realtà è un insieme di pezzi, nati come demo, appartenenti al primo periodo compositivo di Rita, quello dettato da “santa incoscienza” come ama dire lei stessa, qui non ne parlo per esteso solo per motivi di spazio, però vi assicuro che è una delizia per le orecchie e per il cuore, oltre che essere il preludio ai successivi e validissimi lavori di Rita Botto.

“Donna Rita” è quindi un disco in cui la catenese Rita Botto mette tutta se stessa a partire dal titolo e dalla copertina che la ritrae in maniera fumettistica ed in cui è riscontrabile la sua caparbietà e la sua forza di grande donna della Sicilia di oggi, che non rinnega affatto la tradizione, ma che allo stesso tempo sa guardare avanti ed anche oltre confine, lo dimostra la splendida interpretazione del famoso brano dei Madredeus, qui fatto proprio anche grazie all’uso del dialetto, una donna sempre vicina al proprio popolo senza per questo divenire “popolana”.

Viva donna Rita!

Rita Botto

Donna Rita

Kind of Blue Records – Recording Arts 2007

Nei migliori negozi di dischi.

Crediti

Rita Botto: voce e cori

Felice Del Gaudio: basso

Massimo Tagliata: pianoforte, fisarmonica

Paolo Caruso: percussioni

Giancarlo Bianchetti: chitarra

Giuseppe Finocchiaro: pianoforte

Ruggero Rotolo: batteria

Roy Paci: tromba, flicorno

Teo Ciavarella: tastiera

Puccio Castrogiovanni: marranzano

Giovanni Arena: basso

Roberto Rossi: percussioni

Carlo Cattano: sax soprano

Enrico Guerzoni: violoncello

Produzione artistica Roy Tarant

Sito ufficiale di Rita Botto: www.ritabotto.com

Rita Botto su MySpace: www.myspace.com/ritabotto

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Donna Ginevra


Nella copertina Ginevra Di Marco è ritratta, come si usava nei primi del ‘900, inserita in un fondo cartonato come fosse in pieno mare a bordo di una nave che ha a prua una stella ad illuminarne il percorso e giusto di un viaggio musicale tra diverse culture, stili e lingue, tratta questa nuova uscita discografica a tre anni di distanza da “Stazioni Lunari prende terra a Puerto Libre”, riprendendo così il tema del viaggio ed ampliandolo ancor più, cercando di renderlo così universale.

Si parte dunque con “Terra mia”, canzone del miglior Pino Daniele, quello caratterizzato da un profondo legame con la propria terra, quella partenopea, qui grazie all’interpretazione di Ginevra ne esce un brano di rara intensità, intriso di dolente amore, con il lento incedere del pianoforte e delle percussioni, suggellati in più punti dall’intervento sapiente della chitarra classica, ovviamente la voce di Ginevra fa il resto. Grande!

Immediato cambio di ritmo e genere, si approda così in Macedonia, nel mondo Rom, per “Usti usti baba”, danza da matrimonio che ci fa sentire come improvvisamente catapultati nel rocambolesco set cinematografico di “Gatto nero, gatto bianco” di Emir Kusturica, percussioni ed arpeggi di chitarre ci trascinano in una danza apparentemente senza fine.

Con “M’aggia curà” si effettua un salto temporale e spaziale ancora verso Napoli, siamo nell’immediato dopoguerra ed i ritmi sono ancora alti, la canzone è da tipica macchietta partenopea con tanto di cori di fondo, è canzone che si fa teatro o forse viceversa, ma siamo ancora alla presenza di una grande prestazione, eseguita in piena disinvoltura.

Con “Il crack delle banche” si approda alla lingua italiana, trattasi di una canzone di fine ottocento sullo scandalo della Banca di Roma, ma chi lo direbbe, suonata in stile tarantella con tamburelli e sonagli, è sufficiente ritoccare i nomi dei personaggi citati: Mazzini, Garibaldi e Masaniello ed ecco che sembra parlare delle notizie che affollano i giornali dei nostri giorni “Noi siam tre celebri ladron / che per aver rubato ci han fatti senator / Mazzini, Garibaldi e Masaniello / erano tutti quanti malfattori / gli onesti sono loro i Cuciniello / Pelloux Giolitti Crispi e Lazzaroni”.

E’ giunto il momento della quiete, voce e chitarra classica, si passa a “La maza”, canzone del repertorio cubano scritta da Silvio Rodriguez, un testo che è una splendida riflessione sul significato di vivere. E’ decisamente un altro picco di questo disco di Ginevra Di Marco.

Si rimane in vetta anche con il seguente brano “Io sì” di Luigi Tenco qui trasformato in un sirtaki che non snatura il brano, ma anzi ha il pregio di calamitare maggiormente l’attenzione sui versi di Tenco “Io si ti avrei fatto arrossire dicendoti ti amo come lei non sa dire / Io sì da te avrei voluto quella tua voce calda che a lei fa paura“ qui cantati con maestria e magia da Ginevra Di Marco, commovente.

Ritmo cadenzato ed insistito per “Le figliole”, un canto popolare del cilento di fine 1500 pieno d’energia, forse episodio minore, soprattutto dopo le due precedenti perle assolute.

Piena d’energia è anche la ninnananna toscana “La malcontenta”, una sorta di filastrocca dal sapore amaro “Poi la mamma la mette i’grugno / e i’babbo gli dà un pugno / Ninna nanna la malcontenta / I’ babbo gode, la mamma stenta”, ma qui eseguita con tale ritmo e dispendio di energia da essere trasformata in un piacevolissimo divertissement.

Si riprende così il viaggio per approdare in terra di Bretagna, siamo nel 1842, per “Au bord de la fontaine”, c’è tutta la dolcezza del francese “Pour un bouquet de roses / La belle m’a dondaine / Que je lui refusai / La belle m’a lalala / Que je lui refusai / La belle m’a dondé” reso ancor più delizioso da un utilizzo calibrato delle rime, è comunque sempre sostenuto il ritmo grazie alle percussioni che tirano il gruppo.

Altro viaggio, altro paese, questa volta ci si dirige ad oriente, siamo in terra d’Albania e compaiono arabeggianti fiati ad intrecciarsi con gli arpeggi sinuosi degli strumenti a corda, a tessere una trama avvolgente di grande fascino, accentuato dalla sonorità misteriosa della lingua albanese. “Ali Pasha” è un brano dai colori eterei che profuma di spezie ed incensi.

Gli arpeggi di una splendida chitarra, aprono con gusto e raffinatezza l’ultimo brano “In maremma”, tratto dal repertorio popolare toscano, un vero e proprio canto in stile neorealista sul mondo contadino della maremma “Credessi di girà vai indo’ tu vai / ma i’ contadino e un lo farei più mai / Tanto in Francia che ‘Merica e Inghilterra / la peggio vita glie’ a lavorà la terra / I’ sole fa gode’ e capitalisti / mentre fa tribolà e poeri cristi”, è cantato da Ginevra con voce e passione da brividi. Si chiude al meglio.

“Donna Ginevra” è lo splendido risultato di questo nuovo progetto di Ginevra Di Marco che non ferma il suo viaggio musicale intrapreso con i lavori precedenti, accompagnata qui dai fidi compagni Francesco Magnelli al pianoforte, magnellophoni e cori, Andrea Salvadori chitarra classica, tzouras, wood guitar e cori e Marzio Del Testa alla batteria, che con lei hanno condiviso questo percorso, ha saputo creare un nuovo disco che coniuga al meglio il legame alle tradizioni della canzone popolare con il proprio personalissimo percorso interpretativo, capace di trasformare la materia prima a propria disposizione generando risultati, in alcuni casi davvero stupefacenti, senza mai perdere comunque di vista la meta prefissata.

Si può ben dire che ormai donna Ginevra sa solcare i mari della musica anche senza bussola, quindi buon viaggio Ginevra e che il tuo viaggio non termini mai come un moderno Ulisse.

Crediti

Ginevra Di Marco: voce

Francesco Magnelli: pianoforte, magnellophoni e cori

Andrea Salvadori: chitarra classica, tzouras, wood guitar e cori

Marzio Del Testa: batteria

Sito ufficiale di Ginevra Di Marco: www.ginevradimarco.com


Ro Intervista con Kay Rush

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di Andrea Turetta

La nuova compilation firmata da Kay Rush, che porta il titolo di “Unlimited VII” contiene ben 28 brani che si presentano con forza e sono in grado di allargare i nostri orizzonti musicali moderni. Kay Rush è una vera esperta di musica, Dj con anni di esperienza in radio, un buon numero di compilations… Non solo, è un’artista che si muove in più ambiti: non ultimo, quello della scrittura. Ecco l’intervista con Kay…

Quali sono le novità contenute nella compilation “Kay Rush presents “Unlimited VII”, rispetto alle che l’hanno preceduta?
Seguo sempre la linea deep house però ci sono anche delle ‘chicche’ di genere diverso come il brano dei Silky Sunday, ‘Friend’, remixed by Sandy Rivera o versione broken beats che ATFC ha fatto col brano ‘Bad Habit’ con Lisa Millet. Adoro l’omaggio che i Groove Junkies hanno fatto al Pres. Obama, ‘Black Man in the White House’.

Quali sono i segreti per creare una buona compilation musicale?
Non ho segreti. Metto semplicemente (ed egoisticamente) i brani che piacciono a me che sono quelli che colloco nel mio programma su RMC.

Com’è nato il tuo amore per la musica?
I miei mi dicono che sono sempre stata così. A 5 anni, non volevo le bambole, desideravo un giradischi. A 12, chiedevo il mangianastri, etc. Sono nata nelle case popolari circondata da tanta gente di varie culture, soprattutto di persone black quindi sono cresciuta ascoltando la Soul e la R ‘n B con loro. Grande scuola.

Per lavoro, devi sempre ascoltare molta musica… Quali sono gli artisti che preferisci?
Se restiamo nel genere deep house, mi piacciono: Miguel Migs, Harley & Muscle, Dennis Ferrer, Demarkus Lewis, Mr V, Kerri Chandler, Quentin Harris….e tanti, tanti altri!

Un tempo, quella del Dj era una professione ricca di fascino. Pensi sia ancora così?
Certamente. Forse il ruolo del DJ è diventato ancora più importante negli ultimi anni.

Cosa consigliare a chi desidera intraprendere questa professione?
Di iniziare a praticarlo, al più presto. E’ un lavoro stupendo. Per farlo ad altissimi livelli, bisogna imparare a suonare qualche strumento.

Oggi, chi fa il Dj finisce per farlo soprattutto per passione o riesce anche a viverci discretamente?
Quelli bravi vivono alla grande! E’ uguale in tutti i campi, credo.

Tornando per un attimo alla nuova compilation… c’è voluto molto tempo per selezionare i pezzi da inserirvi?
No, perché sono i brani che cerco in continuazione per il mio programma, “RMC Unlimited”.

Come trovi cambiata la musica che passa per le radio e le discoteche, in questi ultimi anni?
Non vado in discoteca. Per quanto riguarda le radio, purtroppo continuano a mettere una specie di Top 40, uguale su tutte. Una volta, quando la musica era meno accessibile, aveva senso, ora bisogna fare dei programmi radiofonici più specifici oppure di contenuti.

Tra Dj’s c’è molta competizione o trovi tanta disponibilità e voglia di collaborare?
Il mondo dei DJ non è diverso d’altri mondi lavorativi. Ce n’è per tutti i gusti.

Se non avessi scelto questa professione, cosa ti sarebbe piaciuto fare?
Non ho mai dovuto fare una scelta. Faccio tutto ciò che mi piace, dalla DJ, a scrivere e presentare programmi giornalistici per radio e TV, a scrivere romanzi, a scrivere blog, a fare la sommelier o l’alpinista. Non metto limiti alla creatività. Ho appena scritto un complesso programma in inglese per Discovery Channel….speriamo vada in porto. Qualsiasi cosa mi venga voglia di fare, cercherò di farlo.

sabato 13 giugno 2009

Fabio Ciminiera presenta a Bologna "Le rotte della musica"

Questa sera a Bologna, a partire dalle 21 presso la Cantina Bentivoglio (via Mascarella, 4/b), sarà presentato "Le rotte della musica", il volume di Fabio Ciminiera pubblicato da Ianieri Edizioni di Pescara. Ciminiera presenterà il suo libro in uno degli spazi più prestigiosi per il jazz, in Italia. Il locale, con altri nomi e proprietà, esiste da oltre 50 anni. Nell’Ottobre del 1989 venne aperta la grande sala Musica, ricavata dalle cantine del cinquecentesco Palazzo Bentivoglio e fino ad allora usata come magazzino e cantina dell’osteria. In questa sala venne iniziata da subito quella attività musicale che nel corso degli anni ha portato la Cantina Bentivoglio ad essere riconosciuta internazionalmente come un vero e proprio tempio del jazz. Nel 1993 infine venne rilevato e trasformato un adiacente magazzino di mobili e aperta quella che attualmente è la saletta Meeting del locale. Una sala della capacità di oltre 50 posti con caratteristiche di privacy, molto adatta per feste, incontri, party, presentazioni ecc. Alle pareti di questa sala è possibile ammirare una vera e propria collezione di arte contemporanea tra cui alcune opere di affermati maestri. L'autore sarà accompagnato da Marco Di Battista, al pianoforte, e Marcello Sebastiani, al contrabbasso.

"Le rotte della musica" è un racconto corale della musica e dei suoni del Mediterraneo attraverso le parole e gli interventi dei protagonisti. Fabio Ciminiera ha tracciato in questo volume un affresco sfaccettato delle musiche della regione. Si parte da Django Reinhardt e dal jazz per esplorare un mondo sonoro ampio e sempre intrigante. Infatti, se il jazz e il nuovo valore dell'improvvisazione, portato dal jazz nel ventesimo secolo, sono una chiave di lettura importante, gli steccati dei generi vengono superati immediatamente, a vantaggio dell'incontro tra diverse intenzioni musicali. Gli artisti intervengono in modo da proseguire l'uno il racconto dell'altro, intrecciando esperienze e intuizioni in un percorso sempre in movimento.

Nel libro sono presenti circa 80 tra musicisti, operatori e fotografi che vivono e lavorano sulle sponde del Mediterraneo. Un campione ampio e rappresentativo che attraversa, pur nella naturale parzialità, frontiere e generazioni, linguaggi e stili musicali. Dalle figure storiche del jazz europeo, come Franco Cerri, Gegé Munari, Daniel Humair e Toots Thielemans, a musicisti attivi nelle musiche delle diverse tradizioni, ma aperti alle suggestioni dell'incontro e della musica di improvvisazione come Akim El Sikameya, Abaji e Damir Imamovic. E ancora, le tante visioni del jazz e della musica popolare e le loro continue evoluzioni nel corso degli ultimi 50 anni. Senza dimenticare, infine, gli aspetti organizzativi della musica, colti nelle parole di direttori artistici e operatori culturali dell'area.

giovedì 11 giugno 2009

GREEN: il primo disco di Simone Agostini

Si intitola Green il disco d’esordio del chitarrista abruzzese Simone Agostini distribuito su i-Tunes e sui principali stores digitali.

Spesso si parla dell’Abruzzo come terra ricca di chitarristi che sanno lasciare un segno di classe e la cui fama corre per il mondo degli appassionati del settore e non solo. Simone Agostini, classe 1981, non fa che portare alta la bandiera di questa regione: secondo classificato al concorso News Sound of Acoustic Music – premio Wilder Davoli – e “guitar winner” nella finale europea dell’Emergenza Acoustic Showcase.

Il suo esordio nel mondo discografico è intitolato Green, in uscita oggi 12 Giugno. Un lavoro in cui la chitarra acustica è protagonista indiscussa, un punto fermo nel lungo percorso di crescita e di composizione che ha vissuto anche grazie al supporto di maestri importanti come Paolo Giordano che lascia una firma autorevole in questo disco “duettando” con la slide-guitar nel brano che Agostini ha intitolato Little Suite DS.

…passione, fotografie, racconti e sensazioni che si lasciano catturare in un viaggio introspettivo fatto in solitudine nel verde della sua terra d’Abruzzo.

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"Il rumore del legno e delle corde, le dita che sbattono, accarezzano e pizzicano. Il manico della chitarra sotto i polpastrelli, le pause e le accelerazioni, il pathos e la passione, poi un respiro.

La corda di metallo salta e l’unghia pizzica, ma non fa male: suona.

Simone Agostini fa vibrare il legno e compone, ed oggi incide un disco che racconta senza una parola. Anzi solo una: “Green”, il titolo, fosse stato per lui, probabilmente, avrebbe messo una nota, l’ennesima.

La prima volta che lo incontrai aveva un cappello in testa, era fra i “banditi” di Paolo Tocco, durante un concerto a Palena. Simone Agostini era in un angolo del palco, sedeva con le braccia abbandonate sulla chitarra. Sorrideva appena, ma quando suonava, chiudeva gli occhi e il cappello e la gente spariva e il palco non c’era più.

Dissi dopo il suo assolo. Applausi. Capelli mossi e ricci davanti al volto. Gli occhi scuri ringraziavano i presenti.

Adesso, un album per raccontare e dire qualcosa che c’è e che non vediamo, qualcosa che possiamo solo apprezzare e non capire, perché ciò che piace dell’arte è proprio l’incomprensione. La giusta non conoscenza razionale delle cose e del mondo. Quel sapere estremo che si trova nel gesto artico: in un movimento, sopra un pennello ed in mezzo ad una tela, oppure fra le corde di ferro e il legno e le dita e le unghie consunte e arrotondate di un uomo che permette alla sua anima di guadagnarsi una voce e al suo cuore ed al nostro di prendersi… un’ora di felicità."

di Alessio Pelusi


mercoledì 10 giugno 2009

Mimmo Locasciulli - Idra: disco della maturità e pieno d’umanità.

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a cura di Fabio Antonelli

Parte decisamente alla grande questo nuovo lavoro di Mimmo Locasciulli con uno stupendo brano molto funky e deciso, che affascina ed intriga dal primo ascolto, in “Scuro”, questo è il titolo del pezzo scelto per aprire il nuovo disco, tutto è al suo posto, ogni parte assegnata ad ognuno dei grandi musicisti che vi partecipano è sfruttata al meglio: dalla grandiosa ed immaginifica chitarra elettrica di Marc Ribot, alla precisione fatta persona di Greg Cohen al contrabbasso, una ritmica sostenuta con fermezza da Joey Baron alla batteria, ma non sono certamente da meno i ricami a tratti strozzati ed urlati fatti da Francesco Bigoni al sax tenore e lo stesso Mimmo Locasciulli all’organo, anziché all’abituale pianoforte, nell’impresa di tenere ben uniti e saldi tanti cavalli di razza. L’impresa riesce in pieno e ne nasce un grande pezzo, tra l’altro ripreso come bonus-track a fine disco nella versione non tagliata e sfumata, frutto di una registrazione in studio con Marc Ribot che si abbandona in un assolo al fulmicotone. In definitiva un grande pezzo sorretto da un ottimo testo che offre una riflessione sull’esistenza, in cui tutto non è poi così chiaro ed intelleggibile “Quando è scuro è tutto chiaro / E quando è chiaro è tutto vero / Non c’è bianco senza nero / E non c’è niente dietro a un mistero”.

E’ quindi un Locasciulli maturo quello che ci si presenta in questo nuovo lavoro, un Locasciulli che non ha certezze e verità nelle tasche da distribuire con generosità a chi lo ascolta, ma è semmai un uomo ancora in cerca di risposte, magari felice e disteso come appare nella bella foto di Ignazio Romano in copertina, ma senza certezze sul futuro.

Ed è un Locasciulli che ripete l’esperienza di affidarsi ad artisti-amici del calibro di Greg Cohen che tra l’altro ne è il co-produttore e che è ormai più che una certezza (riascoltate se già non l’avete fatto il nuovo disco di Luca Ghielmetti) e Marc Ribot che sappiamo quanto vale per il suo contributo essenziale ad artisti come Tom Waits o Vinicio Capossela, le idee musicali di Locasciulli sono ottime, ma diventano addirittura eccellenti in più di un caso affidate con fiducia nelle loro mani.

Finisse qui il disco sarebbe già un singolo fantastico, ma invece Mimmo è riuscito a sfornare un lavoro più complesso che vede altre preziose frecce scoccate dalla sua faretra, a partire dalla title-track “Idra” che riprende il titolo di una lirica di Leonard Cohen, da sempre una delle sue fonti ispiratrici, ma che si rifà anche al mostro a sette teste appartenente alla mitologia greca. Il pezzo si apre in maniera sognante quasi sospeso tra i flutti di un immaginifico mare, bello il pianoforte suonato dallo stesso Mimmo, la delicatezza dei piatti di Baron, nonché l’evanescente presenza del clarinetto di Mirabassi, come contenuti siamo ancora a ragionare sulla fine ultima dell’uomo “Dietro la curva dei sogni / C’è la faccia di Dio / E dopo Dio c’è l’occidente / E ancora dopo più niente”.

Infinitamente dolce, è invece “Senza un addio” che è colorata dalla presenza del clarinetto di Mirabassi, pronto a dialogare sapientemente con le chitarre di Ribot, c’è poi tanta nostalgia di una fanciullezza che non potrà più tornare “Domani la luce qui intorno / Non sarà più così / L’acqua che passa non torna” e di una purezza d’animo che orami non c’è più “Faremo in tempo a calpestare / Le aiuole del giardino / Senza una colpa da scontare / con l’incoscienza di un bambino”.

E’ il sax tenore di Bigoni ad aprire e a condurci per mano in “La disciplina dell’amore” delicato brano d’amore, piuttosto classico come sonorità per chi conosce Locasciulli, che tratta comunque con originalità e sensibilità le sorti di un amore sbagliato, fondato sugli equivoci “Io ti ho amata per quello che non sei / E tu mi hai dato le cose che non hai / E non ci sono più parole / Per descrivere che cosa sia un dolore”.

E’ ancora un sax, però quello soprano di Stefano Di Battista, avvolto dalle percussioni di Imparato, ad introdurci con grande fascino ed estrema raffinatezza ad un brano “Passato presente” molto latineggiante, denso di echi sudamericani, che fa venir voglia di ballare e di stringersi forte, è una vera delizia ascoltare le magie di Ribot che con la chitarra elettrica giostra con le fantasie mirabolanti del sax soprano di Di Battista. Sicuramente uno dei pezzi più belli del disco, grazie anche ad ottime liriche “E’ il passaggio del giorno che fa posto alla sera / Un banbino che invecchia con la sua primavera / Una gabbia che s’apre un uccello che vola / Un gioco che dimenticherai”.

Caratteristica di questo disco è poi l’equilibrio d’insieme, nulla eccede o manca nell’incedere della scaletta dei brani, così dopo un pezzo sfrenato e ballabile, capita “Benvenuta”, brano lento, maestoso, introdotto con un inciso tragico e disperato, dal quartetto d’archi dell’Orchestra Sinfonica di Brasciov, poi entra in scena Locasciulli al piano, resta comunque un brano giocato sulle tinte fredde e che immerge l’ascoltatore in un lago di immensa tristezza “Benvenuta nel tempo sporcato dal dolore / che non si può più lavare / Che non si può più asciugare / Benvenuta nel buco di queste verità negate / Degli spiragli chiusi e delle finestre serrate / Benvenuta nel regno dei re senza corona / Benvenuta per me”. Canzone intensa e splendida.

Dopo tanto soffrire eccoci tornare a sonorità latineggianti, per un brano soft “Giorno di noia”, decisamente minore se ascoltato dopo un brano come il precedente, ma comunque valido che ci descrive uno dei tanti giorni di noia che caratterizzano la vita di ognuno, uno di quei giorni in cui “E’ un giorno di noia e di pioggia / Che ti vorrei qui vicino / Nel letto a trafficare”, direi un desiderio condivisibile o no?

“L’attesa” non smentisce il titolo, è una canzone lenta e musicalmente quasi sospesa, come appunto nella attesa di un qualcosa che deve accadere, troviamo ancora all’opera il quartetto d’archi e significativi interventi di Greg Cohen al glockenspiel, ci sono inoltre intuizioni poetiche interessanti come questa “Tutto passa in fretta ma scorre lentamente / E dura solo un attimo ma poi rimane qui per sempre”.

I plettri dell’Ensemble Mereuer aprono invece con tatto ed estrema delicatezza “Lucy”, brano di grande dolcezza e sconforto, che ci parla di un amore per una donna di nome Lucy ormai lontana, si intuisce, dopo una tormentata storia di amore e sofferenze “Prega di giorno prega di notte / Prega che il suo cuore non pianga mai le botte / Botte che arrivano come le caramelle / Che i bambini si sognano a Natale”.

Chiude il disco “Il bambino e il destino” un brano molto intimistico e mistico che vede all’opera solo Mimmo Locasciulli ed il figlio Matteo al piano, è decisamente un pezzo intenso e toccante, anche un poco inquietante per certi aspetti, di cui voglio riportare per intero il testo perché molto bello e allo stesso tempo conciso “In fondo vedi una porta dove ti trovi a passare / Ti viene la voglia di entrare forse solo per guardare / E chiusa la porta alle spalle, piano piano una luce / Ti colora di pace e ti senti felice / Lì non c’è gioia non c’è ricchezza o miseria / C’è solo uno specchio e un signore / Che col dito ti invita a guardare / E quando sei dentro ai tuoi occhi vedi solo un bambino / Che guarda i tuoi occhi mentre fabbrica / Il suo destino”.

Davvero un grande disco, con un Locasciulli maturo, riflessivo e pieno d’umanità. Cosa si può pretendere di più?


Mimmo Locasciulli

Idra

Hobo / Parco della Musica / Egea - 2009

Nei negozi di musica

Tracklist
01. Scuro

02. Idra

03. Senza un addio

04. La disciplina dell'amore

05. Passato presente

06. Benvenuta

07. Giorno di noia

08. L'attesa

09. Lucy

10. Il bambino e il destino

11. Scuro – bonus track (versione Marc 'n' Roll)


Crediti
Mimmo Locasciulli: voce, pianoforte (2, 4, 6), organo (1, 5, 7), accordeon (8), armonium (9), glockenspiel (9)

Greg Cohen: contrabbasso (1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9), glockenspiel (8)

Marc Ribot: chitarra elettrica (1, 2, 3, 5, 7, 8), chitarra acustica (2, 3)

Joey Baron: batteria (1, 2, 3, 5, 7), percussioni (7)

Gabriele Mirabassi: clarinetto (2, 3, 9)

Stefano Di Battista: sax soprano (5)

Giovanni Imparato: percussioni (3, 5), shaker (7), congas (7)

Francesco Bigoni: sax tenore (1, 4, 7)

Matteo Locasciulli: chitarra elettrica (8), chitarra acustica (2, 8), pianoforte (10)

Quartetto d’archi della Sinfonica di Brasciov (6, 8) (arrangiamenti di Greg Cohen)

Danut Manea: violino

Adriana Anania: violino

Cristina Dumitru: viola

Gheorghita Tanase: violoncello

Ensemble Mereuer (9) (arrangiamenti di Sonia Maurer)

Sonia Maurer: mandolino

Felice Zaccheo: mandolino

Luca Mereu: mandola
Angelo Colone: chitarra acustica

Testi e musiche di Mimmo Locasciulli tranne “La disciplina dell’amore” musica di Mimmo e Matteo Locasciulli e “Il bambino e il destino” musica di Matteo Locasciulli.

Prodotto da Greg Cohen, Mimmo e Matteo Locasciulli

Registrato da:

Michael Creore – Dubway Studios, New York City (NY); assistente Mike Judeh

Nino Nono – Hobo Recording Studio, Saracinesco (Roma)

Mixato da Mimmo e Matteo Locasciulli – Hobo Recording Studio

Masterizzato da Fabrizio De Carolis – Reference Mastering Studio, Roma

Photo: Ignazio Romano (cover) – Amleto De Cesare (back), Mimmo Locasciulli

Artwork: Pielle - Roma

Sito ufficiale di Mimmo Locasciulli: www.mimmolocasciulli.com

Mimmo Locasciulli su MySpace: www.myspace.com/mimmolocasciulli

Voto: 8,5/10

venerdì 5 giugno 2009

FABIO CIMINIERA - Le Rotte della Musica

Il Mediterraneo raccontato attraverso le parole dei musicisti. Ottanta protagonisti
della vita musicale di una regione ampia, attraversata da suoni e ritmi di ogni
provenienza, colorata da strumenti dalle mille voci. Paolo Fresu, Riccardo Tesi, Akim
El Sikameya, Abaji, Franco Cerri, Gianluigi Trovesi, Ziga Koritnik, Bojan Z e molti altri
dipingono un affresco pulsante e vivo, sempre cangiante.
Un percorso estremamente libero tra incontri e influenze: artisti che hanno
attraversato, nelle espressioni e nelle esperienze, il confine imposto dal mare e dalle
proprie tradizioni, senza rinnegarle, per dare vita a sonorità intriganti.
Il jazz e l'improvvisazione sono il filo conduttore de Le rotte della musica, un viaggio
illustrato dalle fotografie di Andrea Buccella.



Le rotte della musica
Fabio Ciminiera
Le rotte della musica
Fabio Ciminiera Le rotte della musica
è un racconto corale della musica e dei suoni del Mediterraneo
realizzato attraverso le parole e gli interventi dei protagonisti.
ha tracciato un affresco sfaccettato delle musiche della regione. Si parte
da Django Reinhardt e dal jazz per esplorare un mondo sonoro ampio e sempre intrigante.
Infatti, se il jazz e il nuovo valore dell'improvvisazione, portato dal jazz nel ventesimo
secolo, sono una chiave di lettura importante, gli steccati dei generi vengono superati
immediatamente, a vantaggio dell'incontro tra diverse intenzioni musicali.
Anche la forma scelta per il testo ricalca la lettura stratificata del panorama
mediterraneo. I musicisti intervengono in modo da proseguire l'uno il racconto dell'altro,
intrecciando esperienze e intuizioni in un percorso sempre in movimento.
Questo rende possibili tre diverse letture de : una squisitamente
cronologica, una geografica e, infine, una rivolta al contatto con le esperienze dei singoli
interpreti.
Nel libro sono presenti circa ottanta tra musicisti, operatori e fotografi che vivono e
lavorano sulle sponde del Mediterraneo. Un campione ampio e rappresentativo che
attraversa, pur nella naturale parzialità, frontiere e generazioni, linguaggi e stili
musicali. Dalle figure storiche del jazz europeo, come Franco Cerri, Gegé Munari, Daniel
Humair e Toots Thielemans, a musicisti attivi nelle musiche delle diverse tradizioni, ma
aperti alle suggestioni dell'incontro e della musica di improvvisazione come Akim El
Sikameya, Abaji e Damir Imamovic. E, ancora, le tante visioni del jazz e della musica
popolare e le loro continue evoluzioni nel corso degli ultimi cinquant'anni. Senza
dimenticare, infine, gli aspetti organizzativi della musica, colti nelle parole di direttori
artistici e operatori culturali dell'area.
Le interviste realizzate da per sono state
effettuate appositamente per questo libro con interventi singoli e domande specifiche
per ciascuno dei protagonisti del racconto.


Contatti
www.myspace.com/lerottedellamusica

Ianieri Edizioni

Fabio Ciminiera
Ufficio Stampa Ianieri Edizioni
Piazza Sacro Cuore 49 – 65122 Pescara
tel: +39.085.4219708 - fax 085.4220693
web: www.ianieriedizioni.it
mail: info@ianieriedizioni.it
web: www.jazzconvention.net; www.myspace.com/fabiociminiera
e-mail: fabiociminiera@jazzconvention.net
mob: +39.347.4098632
skype: fabio.ciminiera

Mauro Di Cola
mail: ufficiostampa@ianieriedizioni.it; mauro.dicola@libero.it
mob: +39 380.9013399; +39 339.2335340